Festa di sant’Antonio: l’omelia del vescovo Claudio
Stefano Callegaro
Di seguito l'omelia del Vescovo Claudio in occasione della festa di Sant'Antnio
Fragilità e carità sono due parole che hanno caratterizzato maggiormente il cammino pastorale della nostra Chiesa diocesana durante questo ultimo anno contrassegnato dal Covid 19. Questo tempo di Pandemia ci ha portati ad incarnare la carità di cui ci parla il Vangelo nell’esperienza della debolezza.
Domandando oggi l’intercessione di Sant’Antonio, vogliamo testimoniare la carità di Dio nel tempo della nostra personale e collettiva fragilità. Volentieri la condividiamo anche con i tanti pellegrini e con quanti ci seguono grazie ai mezzi di comunicazione.
Quest’anno le fragilità creaturali e umane sono state esperienza comune, di tutta l’umanità. Il Covid ha condizionato e limitato la nostra libertà, la nostra economia, la nostra organizzazione sociale. Ha messo in crisi famiglie e posti di lavoro, ha spezzato affetti e interrotto collaborazioni, sta acuendo diseguaglianze sociali, e ha mietuto vittime ovunque: oltre 100 mila morti in più qui Italia, mentre in Europa sono 1.163.000 e nel mondo le vittime finora accertate sono 3.800.000.
È accaduto in Italia come anche in Brasile (dove ci sono 5 nostri presbiteri e molti altri missionari padovani) e negli altri paesi dell’America del Sud; in India, dove sono ora due religiosi che prestano servizio presso la Chiesa dei Servi, e in tutto il continente asiatico; in Etiopia e in Kenya, dove abbiamo nostre fraterne presenze con 5 fidei donum diocesani, e in tutta l’Africa. Sono legami di fraternità consolidati e non potevamo, e non possiamo, non sentirci uniti nel momento della difficoltà. Da questi legami il nostro sguardo si apre a tutto il mondo, senza limiti di fede, di etnia, di storia: ovunque e tutti nel mondo siamo stati colpiti. Siamo stati uniti in una sola umanità. Il nostro è un mondo fragile.
Si sono aperti i nostri occhi e abbiamo potuto riflettere sull’ambiente, sulla casa comune (La “Laudato sii” ha anticipato alcune importanti sensibilità); Papa Francesco inoltre ha spronato il mondo intero alla fraternità universale con l’enciclica “Fratelli Tutti” parlando di imprescindibili relazioni di fraternità tra persone, tra famiglie, tra Paesi; fraternità tra credenti di tutte le religioni per il bene dell’uomo, di ogni uomo e donna, e del Creato. Su queste piste è bella la vicinanza di molti giovani.
Anche nelle parrocchie, spazi privilegiati di prossimità indifferenziata e gratuita, si è parlato questo linguaggio. Esse sono state il segno concreto, visibile della vicinanza del Signore Gesù e della consolazione del Vangelo offerta a tutti. Noi cristiani siamo stati invitati ad essere immagini del suo sostegno rivolgendo la nostra attenzione alle fragilità della porta accanto, educandoci ad uno stile di “buon vicinato”. Chiunque partecipa dell’Eucaristia domenicale è un missionario, mandato dal Signore e dalla Chiesa ad ascoltare le sofferenze, le angosce, le preoccupazioni e i drammi che attraversano la vita.
Anche noi – anch’io – infatti abbiamo avuto preoccupazioni e paura, soprattutto per le persone a cui vogliamo bene, e ci siamo impegnati ad adottare tutte le precauzioni suggerite dal buon senso e dalle leggi per non essere causa di contagio. Da questa esperienza però abbiamo maturato sensibilità e sintonia per le lacrime e le ferite di ogni persona.
Anziani, ammalati, disoccupati, migranti, giovani, adolescenti hanno rappresentato la fragilità di tutta la comunità umana.
Con la preghiera di tutte le comunità cristiane da voi rappresentate, chiediamo ora che su questa povertà, su queste piaghe, sui cuori spezzati, sulle schiavitù, sulle prigionie scenda – per l’intercessione di sant’Antonio – la misericordia del Signore e si manifesti la potenza della sua carità.
Proprio in forza della nostra fragilità, ci rivolgiamo al Signore Gesù perché lui intervenga e agisca: la sua carità è più grande di ogni nostra sofferenza e paura.
È nella fragilità che il nostro cuore, nel suo profondo, si apre alla verità, rappacificandoci con la nostra dimensione creaturale e ponendoci nei confronti del Creatore con umile atteggiamento di fiducia e di preghiera. Come creature lodiamo il Creatore dal quale ancora una volta accettiamo di avere in consegna la terra e le sue creature, perché con il dono e la responsabilità dell’intelligenza e della libertà siano custodite. E così possiamo cantare con san Francesco e sant’Antonio: “Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le tue creature”. A questa relazione ci affidiamo contenti, e non umiliati, di fare appello a chi è più grande di noi.
Anche il nostro pellegrinaggio, le preghiere che oggi innalziamo, le speranze che alimentiamo sono passi, voce e sentimenti di tutta una Chiesa che, a nome dei suoi fratelli e delle sue sorelle in umanità, invoca la potenza del Signore ed invita a guardare a lui, a guardare in alto perché al Signore appartengono i cieli e la terra, perché sua è la potenza e la gloria nei secoli.
La nostra presenza è quindi testimonianza di fede, annuncio della potenza del Signore Gesù, il Risorto, anche sul male, su ogni male: questa fede è la beatitudine dei poveri e la consolazione di quanti disperano.
Gesù con la potenza stessa di Dio, con il dito di Dio dice una preghiera, passa e guarisce tutti: storpi, ciechi, lebbrosi, paralitici, indemoniati… perfino i morti vengono risuscitati da Gesù, come ha fatto ad esempio per Lazzaro o per il figlio della vedova di Naim.
Una grande potenza usciva da lui e tutti restavano meravigliati. È la potenza dell’amore, è il potere della carità di Dio. Con questa forza divina, spirituale, quella dell’amore di Gesù, affrontiamo la Pandemia e affrontiamo le sue devastanti conseguenze sociali, evangelizziamo la storia e la creazione con le loro fragilità.
In nome della potenza e della vittoria di Gesù, noi cristiani, ci presenteremo volontariamente e gratuitamente per ricostruire le distruzioni sociali e spirituali del Covid 19. Saremo in prima fila, come Gesù, per proseguire la sua opera di carità, per dare speranza, per attivare coraggio. E anche per liberare da visioni miopi che guardano soltanto al proprio interesse privato, familiare, sociale, politico; per superare il fascino dell’egoismo orientato al proprio divertimento e alla propria prosperità; per guarire dalla tentazione di sfruttare la terra e l’ambiente o di trascurare e dimenticare i poveri. Non c’è guarigione se la potenza dell’amore del Signore non ci raggiunge e se la sua carità non diventa anima del nostro operare.
I 72 discepoli che Gesù manda sono invitati a proseguire la sua opera. Così ha fatto Sant’Antonio, così hanno fatto tanti cristiani nei secoli, così siamo chiamati a fare noi: diffondere con l’aiuto di Gesù il potere della carità nel tempo della fragilità degli uomini. Tra tutti, abbiamo la gioia di incontrare oggi, a pregare con noi, il cardinale Ernest Simoni, testimone della forza e della potenza di Gesù.
Albanese, nato nel 1928, fu considerato un “nemico del popolo” ai tempi della dittatura comunista. Arrestato nella notte di Natale del 1963, mentre celebrava la messa; condannato a morte, la sua pena è stata commutata in lavori forzati nelle gallerie buie delle miniere di Spac e poi nelle fogne di Scutari. Anche in questa drammatica situazione non ha perso la fede e non ha mai interrotto il suo ministero sacerdotale. È stato liberato il 5 settembre 1990. Appena fuori dal carcere, ha confermato il perdono ai suoi aguzzini, invocando per loro la misericordia del Padre. È un testimone vivente della potenza della carità del Signore.
Il Signore custodisca anche noi nella sua carità e la potenza del suo amore, per intercessione di sant’Antonio, ci permetta di vivere i nostri tempi di fragilità come tempo di missione.
+ Claudio Cipolla, vescovo di Padova