Omelia del vescovo Cipolla per la festa di Sant'Antonio

Stefano Callegaro

Di seguito l'omelia del vescovo Cipolla per la festa di Sant'Antonio

Completo un periodo abbastanza lungo di pellegrinaggio ai santuari mariani della nostra diocesi con il pellegrinaggio a nome della Chiesa patavina alla Basilica del Santo. I santuari mariani sono quasi tutti edificati a seguito di qualche voto del popolo cristiano che riconosceva il Signore come fondamento della propria vita e della propria salvezza nello scorrere dei secoli. Il santuario esprimeva, infatti, il desiderio di testimoniare e di raccontare alle generazioni future la fede che aveva sostenuto e incoraggiato i cristiani in mezzo alle tragedie, alle pesti, alle guerre. 

Contemporaneamente i pellegrinaggi del mese di maggio hanno posto davanti ai miei occhi la figura di Maria, Madre del Signore e immagine della comunità credente, e mi riportavano ad adeguare a quelli di Maria i miei e nostri sentimenti di fede.  

Anche i santi, e tra questi sant’Antonio, nostro patrono, con il quale la città ha stipulato un patto per reciproci impegni, ci portano a verificare i nostri sentimenti con quelli di uomini e donne che la Chiesa ha riconosciuto come esemplari. La celebrazione di lode al Padre contiene allora quest’oggi una preghiera particolare: per intercessione di Maria, Madre santissima del Signore e di sant’Antonio, nostro patrono, ci venga accordato il dono della vera conversione del cuore. Questo è il miracolo di cui io e voi abbiamo bisogno, sempre, perché la fede è un cammino e la meta si schiude man mano che si avanza. 

Guardare a Dio, lasciarci guidare da Lui, fidarci di Lui, affidarci a Lui certi del suo amore. Come hanno testimoniato i nostri avi, come nei secoli passati ha fatto il popolo di cui siamo figli e di cui ci parlano questo e tanti altri santuari, segni e testimonianza della fede di un popolo.

In questi tempi mi sono molto interrogato circa il nostro rapporto con Dio soprattutto perché è emerso, e ne dobbiamo essere felici, l’impegno e il contributo dell’uomo, della scienza, della politica, dell’economia e della finanza. L’uomo sembrerebbe capace da solo di darsi la soluzione per i drammi che via via la natura e la storia gli presentano. Le persone e le realtà su cui appoggiare il nostro “star bene”, il nostro benessere fatto di salute soprattutto, ma anche di progresso, sembrano altri rispetto a Dio. Rivolgersi a Dio sembra diventato ormai un residuo di pietà popolare, ricordo di qualche decennio passato. 

Ci parlino allora i nostri padri che avevano maturato una convinzione diversa e ci hanno lasciato questi santuari a testimonianza della loro fede nella quale hanno visto sostegno e protezione.

In questo dialogo tra la nostra fede e la nostra ingegnosità e perizia, ho visto qualcuno indifferente nei confronti di Dio, qualcuno arrabbiato, qualcuno mercanteggiare con Lui (dico una preghiera per avere in cambio qualcosa); ho visto anche usare e strumentalizzare Dio e tutto quanto è collegato a Lui; ho visto anche persone che hanno saputo rivolgersi di nuovo a Lui e dopo tanto tempo, umilmente, hanno espresso una preghiera.

Nella prova emerge la nostra verità. Di fronte alla paura, alla morte, all’angoscia, proprio quando siamo nella prova, emergono in noi forze e debolezze che non conoscevamo presenti in noi, a volte emerge anche una fede che non pensavamo di possedere. Ci ritroviamo a formulare di nascosto, nel segreto del nostro cuore, una preghiera, scopriamo un sentimento filiale nei confronti del Padre, un sentimento fraterno per il Signore Gesù e per la sua santissima Madre, ci rivolgiamo ai santi e tra questi a Sant’Antonio in particolare: è quel dono che viene fatto a tutti da Dio stesso, piantato nel profondo del nostro cuore fin dalla nascita, che emerge e consola. È l’amore di Dio riversato nei nostri cuori che trova spazio nella fragilità e che ha portato Gesù a proclamare «Beati i poveri, beati gli afflitti, beati gli affamati di giustizia… perché di essi è il Regno dei cieli». 

Le esperienze di preghiera vissute in questi tempi di fragilità e di sgomento vanno interpretate e lette. Mi sono domandato che cosa hanno rivelato della nostra fede e della nostra relazione con il Padre celeste. Quando abbiamo pregato? Come le nostre comunità hanno pregato essendo venuti meno gli appuntamenti abituali? Che relazione si è manifestata tra noi e Dio, e soprattutto quando e come il nostro rapporto con Dio ha seguito l’esempio di Gesù, il figlio perfetto, nel qual il Padre si è compiaciuto?

Gesù: anche Lui, infatti, ha attraversato sofferenza e angoscia. E anche di Lui abbiamo conosciuto l’interiorità proprio soprattutto nel tempo della prova: «Padre, nelle tue mani affido il mio Spirito», «Non la mia ma la tua volontà si compia». 

E anche Maria: « si faccia di me secondo la tua Parola». E sotto la croce: «stava la Madre» (resisteva).

Queste parole e preghiere nascono da un cuore pienamente fiducioso di essere accompagnato dall’amore di Dio, di essere da lui custodito anche nel momento della prova più estrema come quelle della solitudine, del tradimento, della morte. Con la forza che nasce dalla certezza dell’amore del Padre, Gesù affronta tutti i nemici compresa la morte. Nella prova è emersa la grandezza e l’interiorità di Gesù.

Questa è la conversione che miracolosamente chiediamo per intercessione di sant’Antonio: la fiducia piena in Dio, la consolazione di saperci nelle sue mani, la capacità di abbandonarci al suo disegno di amore per il mondo nel quale siamo stati chiamati. 

Molti dei nostri defunti, nella solitudine del loro morire, hanno scavato nella loro interiorità e hanno scoperto questa luce, questo piccolo seme che giaceva silenzioso e nascosto: con questo piccolo lume, che nessuno può conoscere, hanno affrontato la loro battaglia. Non soli, con Gesù e la sua comunità. Ne sono testimoni i presbiteri che hanno frequentato gli ospedali e che ci hanno parlato del sorriso degli ammalati al loro passaggio, ne possono essere testimoni medici e infermieri che hanno arricchito la loro professionalità con la parola gratuita, umile e spesso segreta, della fede.

Anche se la nostra relazione con Dio inizia chiedendogli qualcosa di materiale per noi stessi o soprattutto per i nostri cari, come la salute e il lavoro, Dio sa leggere nelle domande e si fa Padre manifestandosi nella sua divina paternità. Egli ci educa progressivamente ad essere figli che non temono Dio ma lo amano; che non pretendono di insegnare a Dio ma gli obbediscono fiduciosi; che non misurano la sua credibilità ma si abbandonano nelle sue braccia.

Anche noi suoi ministri, vescovi, sacerdoti, catechisti, dobbiamo apprendere sempre più l’arte di accompagnare a Dio, al Dio di Gesù Cristo – di cui sant’Antonio era testimone – i nostri fratelli, educando il loro il vero abbandono al suo amore.

Immersi, battezzati come dice il Vangelo, in questa certezza, arricchiti dallo Spirito evangelico non ci sottrarremo al dinamismo e al protagonismo della nostre capacità umane, ma daremo alla scienza, alla politica, alla finanza, all’arte un senso: il bene dell’umanità!  

+ Claudio Cipolla, vescovo di Padova

Scritto da Stefano Callegaro
Notizie principali:

La gratitudine e l’augurio del vescovo Claudio al nuovo pontefice papa Leone XIV

«Accogliamo con gioia, fede e speranza – dichiara il vescovo di Padova, mons. Claudio Cipolla – l’elezione del nuovo Papa Leone XIV, il vescovo di Roma, che come tale è segno della comunione di tutte le Chiese locali. È un dono del Signore, che attraverso il ministero petrino è presente nella storia e guida la Chiesa. È un dono di cui abbiamo bisogno perché aiuta a mantenerci nell’unità in questo nostro tempo così complesso e dona fiducia e speranza all’umanità intera, tanto più in questo Anno Santo in cui stiamo vivendo il Giubileo della Speranza. A Papa Leone XIV, che è Servus Servorum Dei (Servo dei Servi di Dio), esprimo a nome della Chiesa di Padova gratitudine per il suo sì alla Chiesa e sostegno nella preghiera, il suo prezioso servizio aiuterà, valorizzerà e sosterrà il cammino delle nostre Chiese. Assicuriamo al nuovo Papa la nostra vicinanza, perché non è solo ad annunciare il Vangelo: c’è con lui tutto il popolo di Dio con i suoi vescovi che con lui annunciano la speranza che nasce dal Vangelo. Il suo primo saluto “la pace sia con tutti voi” è un grande messaggio con cui apre e indirizza il suo pontificato e si pone in continuità con papa Francesco: ci ricorda che il mondo ha bisogno della voce di Cristo, del suo amore e di pace. Ringraziamo Papa Leone XIV e con lui ci impegniamo come Chiesa di Padova a essere missionari di pace nel mondo».

Stefano Callegaro

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Auguri di Buona Pasqua dal vescovo Claudio

Di seguito il messaggio di auguri di buona Pasqua dal Vescovo Claudio

AUGURI PASQUA 2025

In questo periodo ospitiamo al Museo diocesano di Padova una mostra molto interessante e
suggestiva: “Il Canova mai visto”. Il cuore della proposta è un monumento funebre in cui l’urna
cineraria è opera del famoso scultore veneto. In una tomba s’incontra la vita e la morte, o meglio,
per sottolineare il tema giubilare che ci accompagna quest’anno, s’incontrano la speranza e la
morte, perché come la nostra fede ci ricorda: la morte non è la fine di tutto, è l’inizio di una vita
nuova e racchiude la prospettiva della risurrezione che nella Pasqua riviviamo. Accanto alla tomba
c’è un cipresso: ci rammenta che la vita sboccia e perdura anche dove c’è la morte, che oltre il buio
c’è la luce.
È la luce della speranza, della fede, quella su cui possiamo contare nei momenti più difficili, nella
sofferenza, nelle difficoltà. La fede è un sostegno ancora più forte nel momento della paura, della
morte, delle preoccupazioni, dell’angoscia. E quante preoccupazioni viviamo oggi, a livello
mondiale, con le troppe guerre che non trovano soluzioni di pace – pensiamo solo a quelle più
vicine a noi, in Palestina, in Ucraina – e poi ci sono altri conflitti che si giocano con le armi
dell’economia, della tecnologia...
Come augurare buona Pasqua in un tale preoccupante scenario? Come augurare la Pasqua
laddove si combatte con il dolore, la malattia, la sofferenza?
Riconoscendo che c’è questa luce della speranza che viene accesa con la Pasqua e che ci permette
di osare ancora, di impegnarci a lottare per guarire se si è malati, o per tentare di risolvere i
conflitti e i problemi che quotidianamente ci affliggono.
La Pasqua ci ricorda che il Signore è Colui che sa illuminare la vita anche nei momenti più difficili e
bui, anche nel momento stesso della morte. Senza questa luce della speranza saremmo disperati.
Il mio augurio per questa Pasqua è proprio questo: che tutti voi siate raggiunti e vi lasciate
raggiungere dalla luce della speranza, consapevoli anche della forza di una comunità di cristiani: a
volte, infatti, le sofferenze sono così gravi, così pesanti che da soli non ci sentiamo in grado di
affrontarle, ed è proprio qui che diventa significativa l’appartenenza a una comunità, la vicinanza
di fratelli e sorelle con cui, insieme, possiamo osare di tener viva la fiamma della speranza. Tanto
più in quest’anno giubilare che ci vede tutti “pellegrini di speranza”.
Buona Pasqua.

+ Claudio Cipolla

Stefano Callegaro

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Viaggio in Brasile

Proposta viaggio sulle orme di Don Ruggero Ruvoletto a 15 anni dalla sua morte.

 

Stefano Callegaro

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